Il progetto Core Econ: spunti per una nuova didattica dell’economia

Massimo Aprea, Gabriele Palomba e Giovanna Scarchilli riflettono sulla relazione tra didattica dell’economia nei corsi universitari e teoria mainstream prendendo spunto da una discussione avvenuta presso la facoltà di Economia della Sapienza lo scorso 19 marzo in occasione della presentazione, da parte di Wendy Carlin, del progetto CORE-Economics for a changing worldche, per iniziativa di un ampio gruppo di economisti, intende innovare le modalità di insegnamento dell’economia.

Lo scorso 19 marzo il Centro di Ricerca Interuniversitario Ezio Tarantelli (CIRET), in occasione delle Lezioni in memoria di Ezio Tarantelli, ha invitato la professoressa Wendy Carlin dell’University College London (UCL) a presentare il progetto CORE – Economics for a changing world del quale è una dei proponenti. Il progetto CORE, che ha dato origine anche a un manuale di recente pubblicazione (in Italia edito da Il Mulino), nasce con l’obiettivo di rinnovare l’insegnamento dell’economia politica nei corsi universitari, principalmente in quelli introduttivi, in modo da renderne i contenuti maggiormente idonei a comprendere le questioni più rilevanti nel dibattito pubblico contemporaneo. Scopo di queste note è presentare, e valutare, le principali novità presenti nel manuale CORE.

Wendy Carlin e Sam Bowles, nell’articolo in corso di pubblicazione “What students learn in 101: Time for a Change”, hanno effettuato un confronto tematico tra i manuali più utilizzati nei corsi introduttivi di economia dalla fine del XIX secolo ad oggi. Carlin e Bowles ricordano come, agli inizi del secondo dopoguerra, sotto l’influenza dell’approccio di Keynes, lo studio dell’economia fosse strettamente legato ai problemi delle società. Educare i futuri policy makers in modo da evitare una nuova Grande Depressione come quella iniziata 1929 fu, ad esempio, l’obiettivo che Paul Samuelson si propose di raggiungere con il suo manuale, pubblicato nel 1948 e per decenni utilizzato nelle università di tutto il mondo.

Al giorno d’oggi, invece, le cose sembrano molto diverse. Due tra i più utilizzati manuali, i Principles of Economics di Mankiw e Economics di Krugman e Wells, sono stati completati alla fine dello scorso secolo, nell’epoca denominata di Great Moderation, e le differenze con il manuale di Samuelson, come notano Bowles e Carlin, sono molto rilevanti. Sia Mankiw sia Krugman e Wells dedicano un notevole spazio a temi di microeconomia sacrificando l’analisi di problemi macroeconomici, come ad esempio quello della disoccupazione involontaria e persistente. Alla minore attenzione per gli spazi di azione, e per gli strumenti, dei policy maker si contrappone l’approfondita analisi del comportamento del singolo agente nel mercato di concorrenza perfetta. Vi sono buoni motivi per ritemere che l’ideologia del laissez-faire, che ha caratterizzato l’epoca della Great Moderation, abbia finito per influenzare le tendenze della didattica economica privando gli studenti della possibilità di impossessarsi degli strumenti essenziali per comprendere la realtà a loro contemporanea.

Per cercare di colmare questa lacuna, i promotori del progetto CORE, hanno per prima cosa chiesto direttamente agli studenti quali dovrebbero essere, a loro avviso, le tematiche da trattare in un moderno manuale di economia politica. L’indagine è stata condotta nelle facoltà di economia di numerosi atenei del mondo e ha dato risultati molti chiari: gli studenti vorrebbero che i manuali si occupassero di tematiche quali le disuguaglianze, la disoccupazione, l’ambiente, la crisi economica, la finanziarizzazione dell’economia e le migrazioni. Tenendo presenti questi suggerimenti, il progetto CORE ha realizzato un manuale (“The Economy”) che è per molti aspetti differente da quelli più diffusi. Per un confronto prenderemo come punto di riferimento i “Principles of Economics” (2018) di Gregory Mankiw.

Dal punto di vista dei contenuti è minore lo spazio dedicato all’analisi della concorrenza perfetta e, in ambito macroeconomico, alla domanda e offerta di moneta mentre sono approfondite questioni come l’importanza degli aspetti istituzionali per gli esiti dei processi economici (Capitolo 5) e sono trattate con maggiore dettaglio la teoria dei giochi e l’economia comportamentale (capitolo 4).

Dal punto di vista metodologico, invece, è riservata grandissima attenzione allo sviluppo storico dei processi economici. Al riguardo, è emblematico il primo capitolo sulla definizione del capitalismo; inoltre, nel testo si incontrano numerosi box che richiamano il pensiero di importanti economisti del passato sulle tematiche di volta in volta trattate. E’ anche frequente il riferimento a dati economici reali che permettono di verificare le teorie proposte.

Innovazione, è bene sottolinearlo, non significa rivoluzione. Alcuni elementi dell’analisi economica standard come la funzione di produzione, la funzione di utilità, il mercato rimangono importanti categorie interpretative del funzionamento del sistema economico. “The Economy” è pur sempre un manuale per il primo esame di Economia Politica all’interno di curricula didattici che danno ampio spazio a questi concetti. Non includerli nella trattazione renderebbe più difficile, per gli studenti, la continuazione del loro percorso formativo.

In realtà, l’aspetto di maggiore novità di questo manuale, che consente anche di nutrire la speranza che possa diffondersi una visione più integrata e pluralista della scienza economica, non sta nei singoli argomenti trattati, ma nel modo in cui vengono composti e integrati per spiegare i maggiori fenomeni economici. Un esempio potrà rendere questo punto più chiaro.

Il mercato del lavoro viene analizzato nel capitolo 18 del manuale di Mankiw e nel capitolo 9 di “The Economy”. Nel primo caso esso è presentato come un mercato come tutti gli altri mentre, nel secondo, si sottolineano le sue peculiarità. L’equilibrio, nel manuale di Mankiw, è rappresentato, come al solito, dal punto di incontro tra la funzione di domanda e la funzione di offerta di lavoro. Esiste dunque un livello del salario per cui tutti quelli che lo desiderano trovano un’occupazione. Nel manuale del CORE, invece, l’equilibrio nel mercato del lavoro è identificato dall’intersezione tra due curve che sintetizzano una serie di interazioni tra agenti diversi (lavoratori, imprese e consumatori) che hanno interessi contrapposti. Tale contrapposizione implica che in ogni punto di equilibrio ci sia una quota strutturale di disoccupazione involontaria.

In breve, “The Economy” tiene in maggiore considerazione la complessità dei processi economici e delle relazioni sociali che li sottendono. Abituare e abituarsi a ragionare in questo modo aperto è oggi la chiave per rivitalizzare una disciplina che negli anni ha perso di vista la sua collocazione nell’ambito delle scienze sociali.

Naturalmente è azzardato dare un giudizio sul progetto CORE nella sua interezza soprattutto se non si è studiato il profondità il suo manuale, come è il nostro caso. Ma, anche basandosi su quanto è emerso durante la presentazione di Wendy Carlin alla Sapienza, si può forse esprimere qualche valutazione di carattere generale.

Se si è preoccupati dalla direzione che la scienza economica sta prendendo (o meglio, sta seguendo da tempo), tanto dal punto di vista più propriamente scientifico che da quello didattico, il progetto Core può essere accolto come un incoraggiante primo passo verso una disciplina più aperta a “quello che succede nel mondo reale” e al pluralismo.

E’ positivo che nella teoria economica di base siano inseriti elementi esclusi dalla didattica mainstream o, nel migliore dei casi, inclusi in maniera marginale. Ad esempio, si assume che gli esseri umani non siano solo “individui razionali massimizzatori” ma possano effettuare scelte economiche anche sulla base di principi etici (seguendo la behavioural economics); si lascia spazio a mercati in cui, a causa di informazioni incomplete e/o concorrenza imperfetta, si può avere eccesso di domanda o offerta anche quando si raggiunge l’equilibrio (ciò è vero in particolare per i mercati del lavoro e del credito); si riconosce come le istituzioni abbiano un ruolo fondamentale; si ammette la possibilità di conflitti distributivi, e via dicendo.

È altrettanto positivo che si mostri come questi concetti possano consentire di fornire una spiegazione migliore di problemi economici tanto trascurati nel recente passato quanto pressanti (ad esempio, oltre alle disuguaglianze, l’instabilità e le crisi finanziarie, già ricordate, le rendite che si formano in mercati non sufficientemente regolati). Il risultato è una positiva integrazione di concetti nuovi e concetti più tradizionali, che consente di affrontare temi di norma trascurati nei manuali tradizionali.

Altri punti di forza del manuale sono il già ricordato costante riferimento ai dati empirici e alla storia economica (anche recente) ed l’attenzione, in un approccio pluralista, per economisti e studiosi che fanno parte di correnti di pensiero del tutto estranee alla recente sintesi fra macroeconomia nuovo-classica e nuovo-keynesiana (Marx, Minsky e Simon, per citarne alcuni).

Al di là di questi meriti il progetto può sollevare qualche dubbio. Il primo è se non sia opportuno spingersi oltre nella critica alla teoria mainstream e abbandonarne del tutto i capisaldi. Ciò solleva, però, immediatamente un’altra questione e cioè se non sia il caso di puntare a riformare non solo l’insegnamento di base dell’economia ma interi curricula.

In questa prospettiva, una riflessione critica è che l’apprezzabile tentativo di recuperare contributi teorici importantissimi ma trascurati e fonderli con quelli dominanti, nel tentativo di creare un nuovo consenso, potrebbe far nascere il rischio che venga selezionato solo ciò che è più utile alla narrazione di base del testo, con il risultato di snaturare le teorie eterodosse, mettendo in ombra i loro elementi più critici verso le teorie mainstream.

L’alternativa potrebbe consistere nel presentare in modo distinto le varie teorie economiche senza fonderle in un unico discorso. D’altra parte, come ha affermato la stessa professoressa Carlin, quello di CORE è un pluralismo che procede per “assimilazione” piuttosto che per “giustapposizione”. La questione ha ovviamente a che fare con la concezione che ciascuno ha dell’economia come scienza sociale, in particolare se essa debba “assomigliare” alle scienze naturali, dove i paradigmi si susseguono ma non coesistono, ovvero debba differenziarsene permettendo a più paradigmi di “competere” in base alla capacità di offrire risposte efficaci alle diverse domande.

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